Ragazzi, a Trakker's Mansion succedono strane cose stamattina…

EPILOGO

La mattina seguente Matt lasciò la sua camera di buon'ora, deciso a procurarsi per prima cosa una dose massiccia di caffeina.

Scese le scale con passo elastico, felice di osservare che in giro non c'era ancora nessuno; praticamente non aveva chiuso occhio quella notte, eppure nonostante ciò (meglio, a causa di ciò considerò tra sé e sé con un sorrisetto malizioso) si sentiva una meraviglia, pieno di energie come dopo otto ore di sonno REM.

Mise su il caffè fischiettando - una parte del suo cervello registrò che non fischiettava più da quando aveva diciassette anni.

Mentre aspettava, spostò lo sguardo fuori dalla finestra verso le cime degli alberi che circondavano la villa: gonfie nuvole temporalesche gli confermarono che, per fortuna, il tempo non si era ancora deciso a migliorare.

Per fortuna, già… molto meglio per lui evitare la piscina per i prossimi giorni.

Si portò una mano alla schiena dolorante, ma non riuscì a trattenere un sorriso: quella maledetta leonessa possedeva unghie aguzze e denti affilati e gli aveva lasciato segni dappertutto.

Aspirò l'aroma profumato del caffè senza smettere di sorridere.

Dappertutto.

Il liquido bollente - nero, senza panna né zucchero, solo con una punta di latte - parve volerlo reclamare prepotentemente alla vita reale: non era nel suo stile rimorchiare donne da una notte e via.

Era chiaro che doveva essere momentaneamente impazzito per infilarsi in una cosa del genere.

E con Vanessa Warfield per di più.

Eppure, se ripensava alle ore appena trascorse non provava né vergogna, né alcun senso di colpa: era successo tutto in modo così…come dire? Naturale. Ecco, naturale.

Anzi, talmente naturale, giusto e semplice che gli era sembrato persino - ma sapeva che era solo frutto della sua immaginazione - di avere già vissuto una situazione del genere, con lei.

Scosse la testa: già, questo era proprio impossibile.

ooOoo

Matt esalò un'imprecazione e si morse le labbra con stizza: il dannato congegno aveva scelto il momento meno opportuno per ammutinarsi al suo creatore.

"Ehilà!" la voce allegra di Bruce Sato per poco non lo fece sobbalzare.

Il milionario si costrinse a ricordare a se stesso una volta di più le mille ottime ragioni che l'avevano convinto a offrire all'inventore giapponese di abitare nella sua dependance.

Quando si raddrizzò per uscire dall'abitacolo di Thunderhawk i graffi sulla schiena lo costrinsero a trattenere un gemito.

L'orientale se ne stava in piedi di fronte a lui, il suo più bel sorriso stampato sul volto disteso.

Brandiva due tazze fumanti.

Guardandolo fugacemente il biondo notò il piccolo segno violaceo sulla gola che il colletto accuratamente chiuso della camicia bianca non riusciva a nascondere del tutto: se quello non era un succhiotto lui non si chiamava più Matt Trakker.

"Caffè?" gli domandò il progettista di giocattoli.

"Umpf…".

Matt scosse la testa, ma poi ci ripensò e allungò una mano verso l'amico.

Afferrò la tazza e si appoggiò - con cautela - alla fiancata della sua rossa sportiva.

I due si fissarono in silenzio per qualche istante. Bruce non sorrideva più.

Poi spostò lo sguardo sull'auto.

"Ti serve qualcosa?" domandò, senza guardare l'amico.

Matt esitò una frazione di secondo prima di rispondere.

"N-no…".

"Bene!" fece l'altro "Quindi non hai bisogno del mio aiuto per cancellare i video delle telecamere interne di Thunderhawk, giusto?".

Il milionario serrò le mascelle.

Un altro istante di silenzio scivolò in mezzo ai due uomini.

"No, perché" esclamò Bruce dopo qualche secondo "stamattina presto ho fatto il solito back-up e accidentalmente…".

Sollevò lo sguardo sull'uomo biondo che seguitava a fissare il pavimento con espressione indecifrabile.

"… accidentalmente ho eliminato tutti i dati del computer di bordo".

Bevve lentamente un sorso di caffè, guardando l'amico con intensità.

"In pratica, è come se le ultime dodici ore non fossero mai esistite".

Matt sgranò gli occhi.

"Per nessuno di noi due".

Non c'era bisogno di domande né di risposte.

Sollevò lo sguardo sul giapponese e lo fissò a sua volta per un lungo istante.

Finalmente parve rilassarsi.

Bruce si voltò e fece un passo verso la porta del garage.

Prima di uscire, però, si bloccò e si voltò di nuovo verso il suo capo.

"Ma devi dirmi una cosa" esclamò "Solo una cosa…".

L'altro attese in silenzio, anche se già conosceva la domanda.

"Perché lei?" chiese infatti Sato.

"Voglio dire… tu potresti avere qualunque donna… perché proprio lei?".

L'altro abbassò lo sguardo, ancora una volta.

Attese un istante prima di rispondere.

"Non lo so" esalò alla fine "So solo che quando ci siamo guardati, lì in quel vicolo, sotto la pioggia, ecco…".

Bruce si strinse nelle spalle e si avviò di nuovo verso la porta.

"… io ho sentito qualcosa…" aggiunse Matt a mezza voce, come se parlasse a se stesso.

L'orientale era ormai sulla soglia.

Chiaro cosa avesse sentito - diceva la sua faccia - tutto chiaro, non c'era altro da aggiungere.

Uscì in silenzio e non udì l'ultima parte della frase, né la meraviglia nella voce del suo amico.

FINE

Ciao, amici appassionati di M.A.S.K., grazie di aver letto e alla prossima!