Qualcosa mi dice che siete un tantino curiosi: in fondo, cosa c'è di meglio che prendere il proprio personaggio preferito e fargli ballare un tango con il Cupo Mietitore?

EPILOGO

Adesso tocca a lei decidere sulla vita di un uomo. Un peso troppo grande per molti, ma non per lei.

Si morde appena le labbra e guarda a sua volta l'orologio appeso di fronte, sulla parete immacolata.

Le sembra di sentire ancora una volta la sua voce che appone, come tante, troppe volte, la sua personale lapide sull'esistenza di un essere umano.

Ancora una volta si domanda: la vita di quell'uomo vale più di quella di un uomo qualunque?

No, la morte rende tutti uguali.

Non contano il denaro, il potere, il successo.

Ha senso continuare?

Le viene in mente, come un lampo che l'attraversa, il ragazzino che aspetta da ore in corridoio.

Pallido come un fantasma, non piange.

I suoi occhi sono asciutti pozzi di disperazione.

Muto, in attesa.

"Dottoressa?" chiede ancora l'infermiera.

"Continuiamo" replica lei.

Il suo tono è deciso, lo sguardo fermo.

"Ancora una fiala di atropina e carica a trecento" dice lentamente.

§§§

"Marg!".

Julio Lopez la sta aspettando alla fine del corridoio. Ha l'aria stanca, sembra molto più vecchio dell'ultima volta che si sono incontrati.

Però il suo abbraccio è sempre affettuoso.

Sorride appena appena e lei si sorprende a sorridere a sua volta a fior di labbra, fugacemente.

Tacciono entrambi per un istante.

Poi è lui a parlare.

"Sono partito appena ho saputo".

Esita ancora.

"I-io non so come ringraziarti…".

Lei china appena la testa.

"Ho fatto solo il mio lavoro" si schermisce.

"… per avergli salvato la vita" conclude l'altro. La sua commozione è palpabile.

Che cosa c'entri tu con lui? Perché è tanto importante per te?

Muore dalla voglia di chiederglielo, ma sa già che non le risponderebbe.

Come non risponderebbero gli altri americani accampati da ore in corridoio. Aggrappati spasmodicamente alla speranza di una buona notizia.

Sono gentili, ma la loro reticenza è palese.

Ancora una volta, pensa che sotto c'è qualcosa che non capisce. E la cosa non le piace affatto.

"Solo il mio dovere" ripete quindi, seccamente.

La sua voce suona più dura di quanto volesse.

"Vuoi vederlo?" chiede allora, con maggiore dolcezza.

Julio annuisce: è chiaro che non ha volato tutta la notte solo per parlare con lei.

§§§

Da quando Julio Lopez aveva lasciato chirurgia d'urgenza - troppo assorbente, quella vita, incompatibile con i suoi impegni con la squadra - non aveva più messo piede in un reparto di rianimazione.

E sinceramente, considerò varcando la soglia, mai e poi mai avrebbe pensato che quella sarebbe stata l'occasione per tornarci.

Adesso, invece, guardava uno dei suoi più cari amici dormire immobile nel letto di un ospedale straniero.

Pallido, le labbra semiaperte, qualche ciocca disordinatamente appiccicata sulla fronte madida di sudore.

Lo guardava e pensava che lui non era come gli altri. Che era diverso da qualsiasi altra persona avesse conosciuto in vita sua.

Gli si avvicinò ancora. Il respiro febbricitante del milionario si fece più rapido, si sentì un debole lamento.

Julio si chinò su di lui, respirando dalle sue labbra l'odore un po' acre della febbre.

Stava combattendo la sua battaglia più difficile, sfiorato dall'alito gelido della Morte.

Alla fine, si decise a parlare.

Marg sapeva che stava cercando il coraggio di farle quella domanda da quando si erano visti.

E sapeva che avrebbe bevuto ogni sua parola come un uomo che stia morendo di sete un sorso d'acqua.

"Quante possibilità ci sono che si svegli?".

La donna di mezz'età sospirò.

Spostò lo sguardo prima sul suo collega, poi sull'uomo biondo e infine sulle macchine che, col loro ansito ininterrotto, sembravano quasi volerle ricordare che era solo grazie a loro che ancora respirava.

Rispose dopo un istante, scegliendo con cura le parole.

"Forse 50 e 50. Forse meno. Nessuno può dirlo con certezza.

Abbiamo fatto tutto il possibile: ora non resta che aspettare.

E sperare che il suo cuore non ceda di nuovo".

"Matthew"

Ancora quella voce.

Sempre dolce. Ma ferma, adesso.

Matt solleva di nuovo lo sguardo. Le labbra di suo padre non si muovono, eppure la sua voce risuona dentro di lui, nel suo cuore, nel rumore martellante del suo sangue.

"Non è ancora il momento, non è ancora la fine".

"Ma io sono così stanco, così stanco… ho bisogno di riposare un po', di fermarmi…"

"Ho bisogno di te, perché mi hai lasciato così presto? A volte sento il peso di tutto il mondo sulle mie spalle e non so se sono abbastanza forte per sostenerlo".

"Tu non mi hai perso, io non me ne sono andato. Io sono con te, accanto a te, ogni giorno.

Non te ne accorgi?".

"Non posso decidere io per te, devi scegliere tu se continuare a lottare o no

Ma pensa solo che se ti arrenderai il mondo sarà un posto molto più infelice, per molte persone".

Scott tirò su col naso e sospirò piano, la testa posata sul letto, di fianco al corpo di suo padre.

Suo padre.

La prima volta che l'aveva visto, quando l'aveva portato via dall'orfanotrofio dove l'aveva scovato, era troppo piccolo per capire. Troppo spaventato per immaginare il meraviglioso regalo che la vita gli aveva fatto.

Per la scienza, per la biologia, lui non era veramente suo padre.

Eppure a volta sentiva - e non importa se nessuno l'avrebbe capito mai - che lo amava ancora di più perché lo aveva scelto, perché non era stato il caso a legare per sempre le loro esistenze, ma il suo amore.

Respirò l'odore sconosciuto e terribile del disinfettante, quasi già un sentore di morte, e rabbrividì nel freddo dell'alba.

Non c'era bisogno di guardarli. Sapeva che erano tutti lì, intorno a quel letto.

Non li guardava, ma era come se sapesse esattamente cosa stava pensando ciascuno di loro.

Lui è la persona più forte che io conosca. Non si arrenderà.

È un combattente. Non l'ho mai visto smettere di lottare e non lo farà adesso.

Ce la farà. Ce la deve fare.

Perché se muore tutto finirà.

Perché non deve morire, sarebbe troppo ingiusto.

La vita non è giusta…

Non importa, io lo so: Ce la farà. Ce la deve fare.

Scott capiva che i suoi pensieri erano confusi - quando aveva saputo, la vista gli si era annebbiata e con essa il cervello - ma l'unico che conservava lucidità era questo: ce la farà, ce la deve fare.

"Non ancora: hai tante - troppe - cose da fare, ottime ragioni per continuare a lottare.

Le vedi tutte queste persone che si stringono intorno a te? Lo vedi il loro dolore? Senti la loro angoscia?

Tu sei troppo importante, per ciascuno di loro.

Ascolta le loro voci, seguile".

Matt si sollevò a fatica, gli tremavano le gambe.

Vacillò, tese le braccia in avanti, le mani brancolanti come un cieco.

Andrew Trakker le afferrò saldamente.

Scott Trakker stringeva nella sua la mano immobile del padre. Aveva pregato un miliardo di volte in silenzio perché quelle dita ricambiassero la sua stretta.

Così tante volte, che quando finalmente accadde per lui fu come nascere una seconda volta.

Adesso, pensò confusamente, il cuore che batteva all'impazzata, era davvero suo figlio.

FINE

Ok, ragazzi, lo so che il tema non era il più allegro del mondo… ma ascoltare "Hello" di Adele ottantadue volte di seguito gioca brutti scherzi!

No, la verità è che i protagonisti dei più grandi show televisivi made in U.S.A. hanno avuto tutti la loro esperienza di pre-morte (pensiamo ad esempio a Mac di CSI NY o al mitico Horatio di CSI Miami) e… beh, quelle scene mi sono sembrate francamente un po' banali. Allora ho pensato: perché non fare qualcosa del genere, ma declinato in stile M.A.S.K. e con in più il mio personale gusto?

Così ci ho aggiunto il mare che, per me, è praticamente vita. Non ho idea se mister Trakker lo ami oppure no, voi che ne dite? Magari preferisce i barbecue in giardino, però sarete d'accordo con me che un'esperienza di pre-morte mentre giri gli hot-dog non è proprio il massimo.

Grazie a chi legge, alla prossima. :)